Vincenzo Consolo
Gli ulivi di Sciavolino
Monumenti come la bellissima fontana di Rivoli, come quella di Collegno, dedicati alla Pace, dovrebbero sorgere in ogni piazza di città e villaggi. Dimostrazioni per la pace si sono fatte in tutto il mondo.
Bandiere della pace, ormai stinte, pendono ancora dai balconi di molte città. Perché la pace è sempre violata, è sempre infranta dalla guerra in varie parti del mondo. Violata, la pace, dalla guerra. Guerra che è scandalo, umiliazione, morte, distruzione, barbarie, inciviltà.
Questo ci hanno insegnato i grandi, sin dall’antichità. Omero, fra i primi. Nell’Iliade Omero racconta della dea Teti che va a chiedere ad Efesto lo scudo per Achille.
Nel quale “Raffigurò la terra e il cielo e il mare, e poi il sole instancabile e la luna piena… Disegnò poi due fiorenti città di uomini mortali. In cui vi sono nozze e banchetti…” Era questa la rappresentazione della pace.
Ma poi anche, nello scudo, vi è rappresentata la guerra. In cui sono eserciti in armi. E in mezzo a loro vi sono “Contesa e Tumulto e la funesta dea della Morte”.
L’Odissea quindi non è che una lunga e dolorosa peregrinazione dell’eroe per espiare la colpa della guerra. E il reduce, giunto ad Itaca, travestito da mendico, vede che sulla punta del porto è scomparso l’ulivo, la capanna, il mandriano fedele.
Ma è l’ulivo poi, dopo la strage dei Proci, a risorgere nel talamo nuziale, a ricongiungere Odisseo a Penelope, a Telemaco, a riportare la pace. Lontani dal mito, dall’antico, entrando nella nostra storia moderna, diciamo che in questa nostra Europa lo scandalo della guerra è racchiuso fra le due Serajevo. La Serajevo che ha provocato la prima guerra mondiale e l’altra che ha provocato la Seconda. Questa voluta dai fascismi e dai nazismi, questa che ha voluto i campi di sterminio, i genocidi.
Ma lo scandalo della guerra ha durato ancora per tutto il Novecento, nel secolo breve, come è stato chiamato, dura lo scandalo, anche in questo terzo millennio.
Le guerre sono continuate nella ex Jugoslavia, in Afghanistan, in Africa, in Israele e Palestina, in Libano… La guerra affligge oggi ancora una terra di antica civiltà, l’Iraq, quella terra tra i due fiumi dove è nata la civiltà.
Sembra che ancora oggi l’ulivo, l’albero sacro ad Atena, la dea della Ragione, sia ancora soffocato, sopraffatto dall’olivastro, l’ulivo selvatico, il segno della regressione, della natura violenta, selvaggia.
L’ulivo della ragione, della pace, della civiltà è l’albero che predomina nelle opere di Sciavolino, l’ulivo intorno al cui tronco fanno il girotondo quattro bambini, i quattro punti del mondo, dai cui rami stanno per spiccare il volo colombi, i portatori di Pace.
Dai rami di ulivi scendono altalene in cui si dondolano bambini, bambini-angeli, bambini speranza del mondo.
Sciavolino crediamo che appartenga alla tradizione dei grandi scultori, siciliani soprattutto, come i più recenti Francesco Messina e Emilio Greco. Ma in Sciavolino crediamo vi sia meno di grazia romantica come in quei due scultori, crediamo ci sia un più di espressione, un più di forza in quello che vuole essere il suo accento, il suo stile nel rappresentare questo nostro tempo, questo nostro mondo.
Milano, 4-3-2008